Bruno Tessaro Insights

image

Recentemente l’intelligenza artificiale è passata dall’essere un tema tecnico riservato agli addetti ai lavori a una presenza costante nelle conversazioni quotidiane. Tra tutte le sue manifestazioni, i Large Language Model (LLM) sono quelli che più hanno catturato l’immaginario collettivo: strumenti capaci di dialogare, riassumere, creare e analizzare con una naturalezza sorprendente. Dietro questa apparente magia, però, esiste un principio semplice e potente: prevedere, data una sequenza di token, quali siano i successivi più probabili per proseguire coerentemente un discorso.

La loro efficacia nasce da un addestramento titanico su testi provenienti dalle fonti più disparate: libri, articoli, pagine web, documenti tecnici, conversazioni, capaci di alimentare una rappresentazione statistica straordinariamente ampia del linguaggio e delle conoscenze umane. È fondamentale ricordare, tuttavia, che un LLM non “capisce” il mondo: elabora correlazioni, non significati. Le sue risposte emergono da modelli probabilistici, non da consapevolezza o intuizione.
Una distinzione che ritroviamo nelle recenti riflessioni di Federico Faggin, l’inventore del microprocessore, che nelle sue ricerche sulla coscienza sottolinea come il significato autentico nasca dall’esperienza soggettiva dei qualia, quelle sensazioni interiori e irriducibili che costituiscono il nucleo della percezione cosciente. In questa assenza di esperienza vissuta, e dunque di significato intrinseco, risiede uno dei limiti strutturali degli LLM: la possibilità di generare contenuti inesatti, superficiali o non aggiornati, soprattutto quando non sono guidati da richieste precise o da adeguati meccanismi di controllo.

Proprio per questo la qualità del prompt diventa cruciale. Un’indicazione vaga porta quasi inevitabilmente a una risposta generica, mentre una richiesta precisa permette al modello di orientarsi in modo mirato e restituire risultati pertinenti e utili. Questa esigenza di precisione ha dato vita a una nuova figura professionale, il prompt engineer, specialista nella progettazione di istruzioni ottimizzate per guidare l’IA verso output affidabili e di alto livello.
La disciplina sta rapidamente evolvendo e viene ormai formalizzata attraverso guide e framework metodologici condivisi dalla comunità. Piattaforme specializzate, come Prompting Guide (https://www.promptingguide.ai), raccolgono le tecniche più efficaci per la scrittura di prompt avanzati, offrono risorse strutturate, esempi pratici e strategie validate sul campo. In questo scenario, la definizione del prompt si configura sempre più come un’abilità tecnica autonoma: il punto di incontro fra l’intenzione umana e la potenza statistica del modello.
Una tecnica particolarmente efficace è il metaprompting, che consiste nel chiedere al modello di suggerire come formulare al meglio il prompt stesso. In questo modo, il sistema diventa non solo un esecutore, ma anche un assistente nella progettazione dell’interazione, riducendo ambiguità e migliorando la qualità finale della risposta.

L’approccio più produttivo resta quello iterativo: partire da un’idea generale e affinarla progressivamente, introducendo vincoli, dettagli e criteri di valutazione sempre più precisi. Questo metodo rispecchia un processo cognitivo familiare: confrontarsi con il modello aiuta non solo ad ottenere risposte migliori, ma anche a chiarire le proprie domande, evidenziare aspetti trascurati e riorganizzare il pensiero. L’interazione diventa così un esercizio di analisi e riflessione, oltre che un semplice scambio informativo.

Uno dei settori più rivoluzionari è quello dei modelli diffusion per la generazione di immagini. Qui il prompt assume la forma di parole chiave che richiamano stili, soggetti, atmosfere e dettagli compositivi. La diffusione di dataset strutturati tramite sistemi di classificazione condivisi, come i booru, ha permesso di incrementare sensibilmente la precisione, la coerenza e la controllabilità dei risultati. Artisti digitali, designer e studi creativi utilizzano questi strumenti per produrre concept art, illustrazioni e prototipi visivi in tempi prima impensabili. Anche l’industria dei videogiochi ha adottato le diffusion per generare ambientazioni, personaggi e materiali di concept in modo rapido e scalabile.
Allo stesso tempo, queste tecnologie stanno aprendo le porte anche a persone non pienamente formate dal punto di vista professionale o a semplici appassionati, permettendo loro di ottenere risultati che fino a pochi anni fa erano appannaggio esclusivo di figure altamente specializzate. La barriera d’ingresso si abbassa: oggi chiunque abbia una buona idea può trasformarla rapidamente in un’immagine di qualità elevata, esplorando creatività e sperimentazione con strumenti potenti e intuitivi.
Ciò non delegittima affatto i professionisti del settore; al contrario, amplifica il loro potenziale. Liberandoli dalle attività tecniche più onerose, questi strumenti consentono a illustratori, concept artist e designer esperti di concentrare il proprio tempo sulle componenti più preziose del loro lavoro: visione creativa, direzione artistica, ricerca stilistica e progettazione concettuale. In questo nuovo scenario, la tecnologia non sostituisce la competenza, ma la estende, permettendo ai professionisti di operare a un livello ancora più alto.

Sul fronte testuale, gli LLM dimostrano un’abilità notevole nel produrre e rielaborare contenuti di qualità, grazie alla quantità monumentale di testi utilizzati durante l’addestramento. La chiave, ancora una volta, risiede nel prompt: più è focalizzato, meno il modello tende a generare frasi generiche o ripetitive. Il workflow ideale si basa su cicli successivi di generazione e revisione, in cui autore e modello collaborano per integrare dati, migliorare chiarezza e affinare lo stile. In ambito giornalistico o accademico, questa sinergia ha già trasformato il processo editoriale, accelerando la produzione di bozze, sintesi e revisioni.
Allo stesso tempo, questi strumenti stanno rivoluzionando anche la scrittura per chi non appartiene alle professioni letterarie o di comunicazione. Giovani autori possono sperimentare nuove forme narrative, ricevere suggerimenti stilistici e ottenere testi di qualità comparabile a quella di scrittori più esperti, usando il modello come una sorta di mentore creativo immediatamente disponibile. Analogamente, chiunque, dallo studente al professionista, può elevare il proprio modo di scrivere, ottenere supporto nella stesura di email, relazioni e documenti complessi, oppure apprendere nuovi termini, strutture e registri linguistici.
L’interazione con l’LLM diventa così un’occasione formativa oltre che operativa: uno strumento che non si limita a produrre testi, ma che aiuta gli utenti ad ampliare il proprio vocabolario e maturare maggiore consapevolezza comunicativa.

Un’evoluzione altrettanto significativa riguarda il mondo dello sviluppo software. La creazione di un’applicazione si fonda su due pilastri: la visione creativa dell’architetto e la competenza tecnica necessaria per tradurla in codice efficiente. L’integrazione dei modelli linguistici negli ambienti di sviluppo ha trasformato il secondo pilastro. Gli agenti intelligenti analizzano requisiti, propongono architetture, selezionano tecnologie coerenti e generano codice aderente alle linee guida fornite. Suggeriscono refactoring, identificano bug e ottimizzano funzioni. Questo non solo accelera il lavoro degli sviluppatori esperti, ma democratizza la capacità di produrre software di livello professionale, offrendo a individui e piccoli team strumenti finora riservati a grandi realtà.
Parallelamente stanno emergendo anche strumenti online che permettono la realizzazione semi-automatica di intere applicazioni, pensati per utenti con competenze minime in ambito software. Questi sistemi consentono di generare rapidamente prototipi o applicazioni funzionanti, ma risultano fortemente vincolati: dipendono dalle tecnologie scelte dal provider, dalle architetture predefinite e, soprattutto, dal system prompt stabilito dall’azienda che li sviluppa. Ciò si traduce in una notevole riduzione della flessibilità progettuale e nella difficoltà di uscire dai binari prestabiliti.
Padroneggiare direttamente l’arte del prompting, invece, offre un livello di libertà incomparabile. Significa poter decidere autonomamente linguaggi, framework, pattern architetturali, stili di sviluppo e modalità di integrazione. Permette di modellare l’intero processo creativo e tecnico secondo le proprie esigenze, la propria esperienza e la propria visione ingegneristica, senza dipendere da piattaforme chiuse o da scelte imposte a monte. In questo senso, chi impara a dialogare efficacemente con gli LLM non solo acquisisce uno strumento, ma conquista un nuovo spazio di espressione progettuale.

Infine, l’ambito dell’analisi e della ricerca scientifica è probabilmente quello in cui l’impatto degli LLM è più profondo. Combinati con sistemi di Retrieval-Augmented Generation (RAG), i modelli possono integrare dati aggiornati da archivi specializzati, letteratura scientifica o banche dati verticali. Pur non “scoprendo” nulla di autonomo, sono in grado di sintetizzare enormi quantità di informazioni, evidenziare pattern nascosti e proporre connessioni che possono sfuggire anche agli esperti. Ciò accelera processi complessi come l’analisi comparata di studi, la formulazione di ipotesi, la progettazione di esperimenti o persino la ricerca di nuovi prodotti.
Queste capacità si stanno rivelando trasformative anche in ambito aziendale, dove una delle sfide più complesse è estrarre reale valore di business dai dati interni. Molte organizzazioni dispongono già di una mole impressionante di informazioni, spesso però distribuite in silos, destrutturate o difficilmente integrabili. Gli LLM, supportati da sistemi RAG o da pipeline di analisi avanzate, consentono di esplorare questi ecosistemi informativi con un livello di profondità prima irraggiungibile: individuano correlazioni inattese, evidenziano inefficienze operative, suggeriscono strategie e permettono di isolare KPI significativi a partire da dati che l’azienda possedeva già, ma che non riusciva a interpretare né trasformare in valore.
L’intelligenza artificiale diventa anche uno strumento strategico per la competitività: un alleato che aiuta le imprese a comprendere meglio se stesse, migliorare processi e decisioni e trasformare il patrimonio informativo, spesso sottoutilizzato, in insight concreti e opportunità di crescita.

Siamo dunque di fronte a una trasformazione profonda, in cui i modelli generativi, testuali, visivi e multimodali, assumono il ruolo di partner intelligenti nelle attività intellettuali e produttive. La loro forza non risiede in un’ipotetica “coscienza artificiale”, ma nella capacità di estendere le nostre competenze, accelerare i processi decisionali e supportare la comprensione di sistemi sempre più complessi. Il futuro dell’IA non sarà fatto di macchine che sostituiscono l’intelligenza umana, ma di strumenti che la amplificano, permettendoci di esplorare possibilità che, fino a ieri, sembravano irraggiungibili.

Tags